Protesi d’anca, al Policlinico 160 interventi all’anno
Nell’Ortopedia e Traumatologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari vengono impiantate 160 protesi d’anca all’anno. «Da noi vengono trattati prevalentemente i pazienti più complessi per patologia e/o comorbidità - spiega il professor Antonio Capone, direttore dell’Ortopedia del Duilio Casula - che non possono essere operati presso le strutture private accreditate». In Sardegna, come nel resto d’Italia, l’intervento di protesi d’anca viene eseguito prevalentemente nelle strutture sanitarie private accreditate (nel 52% dei casi), rispetto agli ospedali pubblici (48% dei casi).
L’aumento progressivo del numero di artroprotesi di anca e ginocchio è determinato dall’ampliamento delle indicazioni. «L’età media dei pazienti da sottoporre all’intervento si è ridotta - sottolinea professor Capone - le aspettative di vita e le richieste funzionali dei pazienti si sono notevolmente incrementate, ponendo al chirurgo ortopedico delle nuove problematiche da affrontare per ottenere risultati soddisfacenti».
Sono disponibili vari tipi d’intervento chirurgico di artroprotesi d’anca. «Iniziamo dalla via d’accesso, cioè dall’incisione della cute e dei muscoli per il posizionamento delle componenti protesiche – afferma lo specialista - attualmente adottiamo tecniche chirurgiche “tissue sparing” in cui si cerca di preservare i tessuti, sia osseo che muscolare, per accelerare il recupero funzionale e mantenere un adeguato patrimonio osseo in previsione di eventuali successive revisioni».
Una tecnica chirurgica vantaggiosa per il recupero funzionale, prosegue professor Capone, «è quella in cui si utilizza una via d’accesso anteriore che prevede la divaricazione dei muscoli antero-laterali della coscia senza alcun danno ai muscoli glutei ed extrarotatori dell’anca, che risultano fondamentali nel mantenimento della posizione in piedi e nella deambulazione».
Un altro fattore importante nel successo di un intervento è la scelta del tipo di protesi: «Le caratteristiche da valutare sono l’età, la qualità dell’osso e le richieste funzionali – spiega il direttore dell’Ortopedia del Policlinico - l’età media dei nostri pazienti è attualmente 70 anni e considerata la buona qualità dell’osso e l’aspettativa di vita (superiore ai 15 anni), preferiamo utilizzare protesi non cementate».
Se un paziente è in buone condizioni generali di salute, dopo l’intervento potrà riprendere le sue attività fisiche abituali, ma deve sapere che le superfici articolari delle protesi vanno incontro ad usura che risulta minore quando vengono utilizzati materiali di nuova generazione come la ceramica o il polietilene reticolato. «Attualmente con l’impiego delle artroprotesi di più moderna generazione, la sopravvivenza a 20 anni è del 95%», afferma il medico dell’Aou di Cagliari.
Per ottenere un precoce e ottimale recupero funzionale è necessaria una stretta collaborazione del medico ortopedico, medico fisiatria e fisioterapista per iniziare precocemente un programma riabilitativo personalizzato che ha come obiettivi il recupero della forza muscolare, dell’escursione articolare e della coordinazione nel cammino.
«Le prospettive future sono molto interessanti dal punto di vista delle biotecnologie – sottolinea il professor Antonio Capone - l’ausilio di sistemi di navigazione computerizzata (robot) per l’accesso chirurgico, l’utilizzo di nuovi biomateriali (titanio trabecolare, zirconio) e la tele-medicina consentiranno di ridurre il rischio di complicanze, di accelerare il recupero funzionale e, per ultimo, di fare durare più a lungo queste protesi».
Federica Portoghese